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Congo-Ruanda: la pace firmata a Washington mentre l’odore del genocidio resta fuori dallo Studio Ovale

  • Immagine del redattore: Gerardo Fortino
    Gerardo Fortino
  • 12 lug
  • Tempo di lettura: 10 min
Accordo di Pace Congo-Ruanda
Immagine generata con AI

Accordo storico o maquillage diplomatico?


Il 27 giugno 2025, nella cornice imbiancata dello Studio Ovale, si è consumata l’ennesima messinscena della politica estera americana. La Repubblica Democratica del Congo (RDC) e il Ruanda, due Paesi legati da trent’anni di guerre, invasioni e massacri, hanno firmato un accordo di pace. A fare da anfitrione: nientemeno che Donald Trump, coadiuvato dal segretario di Stato Marco Rubio e dal vicepresidente James David Vance. Una foto di famiglia, insomma, tra diplomatici e carnefici, con una penna d’oro pronta a firmare ciò che qualcuno si ostina a chiamare “pace”.


Lettere, promesse e investimenti… minerari


Al centro dell’accordo c’è la solita minestra: integrazione economica regionale, investimenti statunitensi nelle miniere della RDC orientale (cioè là dove si combatte), e qualche accordo commerciale tanto per dare un tocco di eleganza all’estrazione selvaggia. Trump ha consegnato lettere d’invito ai presidenti Felix Tshisekedi e Paul Kagame, per una firma definitiva a Washington. A battezzare il tutto, il consigliere per l’Africa di Trump, Massad Boulos, che ha ribattezzato il pacchetto “Accordi di Washington”. Originale, come sempre.


La parola che non si può pronunciare: genocidio


C’è però un dettaglio — uno solo, minuscolo — che manca nel testo dell’accordo: la parola genocidio. Sparita. O meglio, mai pervenuta. Eppure, secondo l’International Rescue Committee, tra il 1998 e il 2004 sarebbero morte 3,8 milioni di persone. L’ONU alza il tiro: oltre 5 milioni di morti tra il 1993 e il 2003. Oggi siamo a più di 10 milioni di vittime congolesi. Ma nella pace a stelle e strisce non c’è spazio per la verità: meglio chiamarla “conflitto prolungato”, così non si incrina la foto ricordo.


Trump: “La guerra più grande dal 1945”


Durante la conferenza stampa, il buon Donald si lascia sfuggire che “qualcuno ha detto che si tratta della guerra più grande dalla Seconda guerra mondiale”. Gli fa eco il vicepresidente Vance: “La peggiore in termini di numero di morti dalla Seconda guerra mondiale”. Eppure, in tutto questo lirismo bellico, nessuno osa parlare di responsabilità dirette. Né tantomeno del Ruanda come aggressore sistemico.


Ruanda, M23 e l'economia di guerra


A puntare il dito — senza troppi giri di parole — ci pensa Norman Ishimwe Sinamenye, analista e presidente dell’organizzazione per i diritti umani Jambo Asbl, in un articolo su Foreign Policy del 7 luglio 2025. Il sottotitolo è chirurgico: “Un recente accordo mediato dagli Stati Uniti può garantire la stabilità solo se non premia l’aggressione del Ruanda”. Ecco il punto. Il Ruanda non è solo parte in causa: è il regista occulto di un’economia parallela fondata sul saccheggio delle risorse congolesi. Il gruppo armato M23, marionetta ruandese, non si limita a controllare miniere: gestisce anche i corridoi di trasporto per l’esportazione illecita di coltan, oro e altri minerali strategici. Il colmo? Vengono rivenduti al mondo come esportazioni ruandesi. E la comunità internazionale? Si gira dall’altra parte.


Gli Stati Uniti? Più SWIFT per tutti… tranne che per il Ruanda


Lo stesso Gruppo di esperti dell’ONU, nel suo rapporto di giugno 2025, accusa apertamente il Ruanda di aver instaurato nei territori occupati una governance parallela. Smantellano archivi, sequestrano proprietà, sostituiscono amministratori e persino i capi tradizionali locali. Un’occupazione strutturata, con tanto di atti fondiari nuovi di zecca. Ma mentre Russia, Corea del Nord ed Eritrea vengono espulse dal sistema SWIFT, il Ruanda — autore di trent’anni di invasione — resta intoccabile. Nessuna sanzione, mai. Né dagli USA, né dai loro fedeli alleati della NATO.


Ann Garrison: “Un’economia genocida, un progetto coloniale”


A rafforzare l’accusa, c’è anche Ann Garrison, giornalista del Black Agenda Report. Il suo pezzo del 9 luglio 2025 è un atto d’accusa: “Quello che vediamo in Congo è un progetto coloniale d’insediamento, un’economia di guerra genocida”. E spiega come il Ruanda abbia preso il controllo di tutto: dalla tassazione alle banche, dai confini alle attività estrattive, trasformando i territori occupati in un feudo d’oltreconfine.


La memoria? Va distrutta


Il rapporto ONU parla chiaro: “L’AFC/M23 ha sistematicamente occupato edifici pubblici, distrutto archivi e cancellato la memoria istituzionale, in particolare in vista del ritorno dei rifugiati congolesi dal Ruanda al Nord e Sud Kivu.” Insomma: pulizia etnica con mezzi amministrativi, come da manuale. (allegato 17).


Tra i nomi coinvolti: Corneille Nangaa, Bertrand Bisimwa, Bahati Erasto, ma anche uomini con le mani nelle proprietà confiscate e nella tortura dei leader della società civile. Sì, avete letto bene: tortura. Tutto documentato. Ma tranquilli, ora c’è la pace di Trump.


Allegato 17

Allegato 17

La distruzione degli archivi e il riscrivere la storia col machete


C’è un dettaglio che sfugge ai titoli trionfalistici sull’accordo di pace firmato a Washington tra Congo e Ruanda: la sistematica distruzione degli archivi statali congolesi da parte dell’M23. Un’azione che non ha nulla di simbolico, ma che equivale a cancellare identità, diritti fondiari, governance locale. Lo denuncia l’Allegato 17 del rapporto ONU di giugno 2025:

«L’AFC/M23 si è impegnato in uno sforzo sistematico per smantellare l’autorità statale e le strutture civili esistenti nei territori sotto il suo controllo […] in vista del ritorno dei rifugiati congolesi dal Ruanda al Nord e Sud Kivu» (Allegato 17).

Più che un'operazione militare, sembra un colpo di Stato amministrativo. Edifici pubblici occupati, archivi distrutti, capi consuetudinari rapiti o sostituiti da funzionari-fantoccio.

(Fonte: Allegato 17 – Rapporto degli Esperti ONU, giugno 2025)

Ruanda: quando la guerra paga


Il 17 giugno 2025, appena dieci giorni prima della firma dell’accordo, un articolo apparso su Foreign Affairs (Joshua Z. Walker, Reagan Miviri, Jason K. Stearns) ha detto le cose come stanno:

“Il Ruanda trae enormi benefici materiali dall’instabilità del suo vicino, che facilita il contrabbando di oro, coltan e altri minerali”.

E non si tratta di supposizioni. I numeri sono precisi, e fanno paura: dal 2021 al 2024, le esportazioni d’oro del Ruanda sono passate da 344 milioni a 1,5 miliardi di dollari. Un miracolo minerario per un Paese che non ha miniere d’oro degne di nota. Sei rapporti ONU hanno dimostrato che quei minerali provengono dalla zona orientale del Congo.Il trucco è semplice: si saccheggia in Congo, si esporta dal Ruanda, si etichetta come “prodotto nazionale” e si incassa sui mercati europei e americani.


Multinazionali, accordi e i soliti déjà vu


Il pezzo di Foreign Affairs fa anche nomi e cognomi. C’è una miniera di stagno nel Nord Kivu, allora controllata da Denham Capital, colosso angloamericano dell’energia, che ha sospeso le attività al sopraggiungere dell’M23. Dopo le pressioni dell’emissario trumpiano Boulos, i ribelli si sono ritirati e, guarda caso, il 9 aprile la miniera ha ripreso a scavare.


Un déjà vu che profuma di 1996, quando le multinazionali firmavano contratti illegali in Congo mentre il Paese era in fiamme. All’epoca, l’ADFL non aveva nemmeno raggiunto Kinshasa. Oggi la storia si ripete, con firme in sala conferenze e carri armati nei villaggi.


Le sanzioni che nessuno vuole (a meno che non sia la Russia)


Walker, Miviri e Stearns propongono una lista di strumenti di pressione che Washington potrebbe — il condizionale è d’obbligo — usare contro Kigali:

  • Ritiro dei finanziamenti della Banca Mondiale

  • Ritiro dello status di Paese peacekeeper ONU

  • Sanzioni UE contro la raffineria ruandese Gasabo Gold, controllata dal Ministero della Difesa

  • Stop agli aiuti UK

  • Inclusione del Ruanda nella lista nera del Dipartimento del Tesoro USA.


Tutti strumenti validi. Peccato che, in trent’anni di occupazione, nessuno sia stato mai davvero usato.


Marketing genocida: quando l’NBA promuove gli aggressori


L’articolo mette il dito anche su un altro nervo scoperto: la copertura diplomatica e promozionale del Ruanda. Se le star hollywoodiane e le multinazionali dello sport continuano a promuovere l’immagine patinata del “Ruanda dei gorilla”, il lavoro delle ONG e dei relatori ONU viene sistematicamente silenziato.I nomi? Idris Elba, Ellen DeGeneres, la NBA, l’Arsenal FC. Tutti testimonial inconsapevoli (o peggio, consapevoli) di un regime che nel frattempo occupa, uccide e destabilizza.


L’accordo di Trump e le sanzioni (che non scattano mai)


Il 3 luglio 2025, lo United States Institute of Peace ha ricordato che gli USA avevano già imposto sanzioni simboliche quando l’M23 ha violato il cessate il fuoco nel dicembre 2024. Peccato che l’accordo non includesse conseguenze concrete per la violazione. Risultato? L’M23 ha potuto massacrare impunemente nell’est della RDC.


Durante la conferenza stampa, Trump ha parlato di “blocco commerciale” come strumento di pressione. Ma è tutto lì: una dichiarazione vaga, senza scadenze né automatismi. Una minaccia a vuoto.


La verità? Assente. Come la giustizia


Nel testo dell’accordo, l’aggressione ruandese viene descritta come “misura difensiva”. Incredibile ma vero. Solo in calce si fa riferimento alla Risoluzione 2773 del Consiglio di Sicurezza ONU (21 febbraio 2025), che condanna l’offensiva dell’M23 e chiede il ritiro immediato delle truppe ruandesi, il ripristino dell’integrità territoriale del Congo e la fine dei governi paralleli imposti nei territori occupati.

«Le Parti si impegnano a promuovere l’attuazione della Risoluzione 2773 (2025)» – dice l’accordo. Parole belle. Ma la pratica? È un’altra cosa.

Friends of the Congo: "Una pace senza verità è solo una transazione"

Maurice Carney, direttore esecutivo di Friends of the Congo, va dritto al punto:

“Se si accettasse la versione di Donald Trump, i cittadini statunitensi non saprebbero mai che gli USA sono la principale forza straniera responsabile di aver intrappolato il Congo in guerre infinite, instabilità e miseria.”

E snocciola una serie di falle devastanti:

  1. Il Ruanda non viene mai punito per i crimini commessi

  2. Il gruppo armato M23 viene ignorato

  3. Si propone l’integrazione dei miliziani nell’esercito congolese, un modello già fallito

  4. Si regolarizza il saccheggio come cooperazione economica

  5. Si promette pace, ma si sacrifica giustizia e memoria.


Mukwege: “Un accordo che premia l’aggressore”


Infine, la voce più autorevole: Denis Mukwege, Premio Nobel per la Pace, medico e testimone delle atrocità.Ha definito l’accordo “vago” e “sbilanciato a favore del Ruanda”. Su X, ha scritto:

“Questo accordo premia l’aggressore, legittima il saccheggio delle risorse congolesi e sacrifica la giustizia in cambio di una pace precaria e falsa.”

Patrick Mbeko: "Capitolazione, non pace"


Il geopolitico congolese Patrick Mbeko non usa mezzi termini: ciò che è stato firmato a Washington il 27 giugno 2025 non è un accordo di pace, ma una capitolazione in piena regola. Nessun piano immediato per fermare l’occupazione ruandese del Congo orientale. Eppure, la risoluzione ONU 2773 (2025) è citata nel testo. Ma di fatto? Nessuno si muove.


Minerali senza regole, accordi senza dignità


Il cuore della questione resta intatto e avvelenato: nessuna chiarezza sulle modalità di sfruttamento delle risorse naturali. Tutto rimandato a “prossimi colloqui”, intanto però i minerali continuano a uscire illegalmente dal Congo. E a entrare nelle casse ruandesi.


FDLR: il grande pretesto


Tra i miti tossici che infestano il discorso pubblico, ce n’è uno che resiste come la muffa sui muri: le FDLR — Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda — sarebbero per definizione un gruppo di genocidari. Nessuna prova, solo propaganda. Paul Kagame in persona, intervistato dalla CNN il 3 febbraio, ha detto di non sapere nemmeno se le sue truppe fossero nella RDC. Un lapsus? O un’ammissione cinica?


Il vero nodo è che le FDLR sono state usate per giustificare l’occupazione ruandese del Congo da oltre vent’anni. Ma anche l’International Crisis Group, per bocca di Richard Moncrieff, sbugiarda questa narrativa:

“Le autorità congolesi e molti osservatori considerano questa richiesta un pretesto. L’M23 e le truppe ruandesi si sono estesi ben oltre le aree di influenza delle FDLR.”

La tragedia mai raccontata dei rifugiati ruandesi


È un fatto storico: oltre 1,5 milioni di ruandesi fuggirono nel 1994 dall’avanzata dell’RPF in Zaire. Tra il 1996 e il 1997, oltre 800.000 morirono o furono massacrati. L’allarme lo lanciò monsignor Christophe Munzihirwa, arcivescovo di Bukavu, prima di essere assassinato. Lo confermò Lino Bordin, ex funzionario UNHCR: il Ruanda bombardava i campi profughi, e l’UNHCR… evacuava.


Bordin fu minacciato direttamente da funzionari ruandesi, su istruzioni dell’ambasciata britannica a Kigali. La verità? Troppo scomoda per Londra e Washington.


L’accordo menziona 40 volte le FDLR. E solo 2 l’M23


E qui sta la farsa. Il testo dell’accordo cita le FDLR più di 40 volte, e l’M23 — cioè l’esercito di proxy ruandesi che occupa il Congo orientale — solo due. Se un lettore ignaro aprisse oggi il documento, penserebbe che la colpa dell’insicurezza nella RDC sia tutta delle FDLR. Una distorsione grottesca, che insabbia responsabilità e riscrive la storia.


Lettera delle FDLR: “Non siamo terroristi”


Il 2 luglio 2025, il Tenente Generale Victor Byiringiro, rappresentante delle FDLR, ha scritto una lettera aperta a Donald Trump. In toni rispettosi, ma fermi, ricorda che le FDLR non sono né terroristi né genocidari, e che hanno partecipato a cinque operazioni di disarmo tra il 2009 e il 2015, oltre a numerosi negoziati.

Chiedono un dialogo politico per affrontare le radici del conflitto. E, per una volta, chiedono di essere ascoltati.


Colette Braeckman: “Kagame considera l’est Congo una zona di conquista”


Nel suo editoriale Rwanda-RD Congo. Le deal à la Trump del 4 luglio, la giornalista Colette Braeckman non fa giri di parole:

“L’accordo è un promemoria crudele: per Kagame, l’est del Congo è una zona di conquista.”

Altro che pace. Altro che sovranità.


Brassage, mixage e milizie dentro l’esercito


Uno dei punti più tossici dell’accordo è la reinclusione dei miliziani smobilitati nell’esercito congolese. Un déjà vu pericoloso. Il famigerato “brassage e mixage” — il mescolamento di ex ribelli nelle forze armate — ha già distrutto l’esercito congolese dall’interno, creando milizie ibride, diserzioni di massa, e nuove rivolte armate.

Il testo promette trasparenza. Ma chi ci crede più?


L’AFC chiede un cambio di regime. E poi firmiamo la pace?


L’AFC — il braccio politico dell’M23 — chiede la caduta del governo di Kinshasa. Eppure siede al tavolo della pace. Domanda: come si può definire legittima una forza che occupa territori, massacra civili e chiede apertamente il rovesciamento del governo?

La risposta è sempre la stessa: business.


Coltan, Trump e la miniera di Rubaya


Il Financial Times, il 27 giugno 2025, ha rivelato il vero volto dell’accordo. Titolo: L’alleato di Donald Trump cerca di accaparrarsi una miniera nella RDC.L’America First Global di Gentry Beach (ex hedge fund manager e amico di Trump) sta cercando di sviluppare la miniera di coltan di Rubaya, in joint venture con la compagnia statale Sakima. Con chi? Con Mercuria e Ngali Holdings, cioè lo Stato ruandese.


Il piano è semplice: estraiamo in Congo, raffiniamo a Kigali, e vendiamo in Europa. Geniale. Peccato che sia illegalissimo.


Il colmo? Il coltan congolo-ruandese


Sì, perché il coltan di Rubaya — estratto sul suolo congolese — verrebbe legalizzato attraverso il Ruanda e raffinato in una fonderia nuova di zecca a Kigali, gestita da un consorzio misto USA-Ruanda. Una premiazione geopolitica dell’aggressore, con tanto di targa e buffet.


“Accordo di pace”? Citano i minerali una sola volta


Il testo dell’accordo, per inciso, menziona i minerali essenziali una sola volta. Tutto il resto è silenzio. Nel frattempo, la popolazione congolesa continua a essere sfollata a forza. L’UNHCR dovrebbe intervenire. Lo Stato congolese pure. Ma siamo ancora ai comunicati stampa.


Ultima chiamata alla comunità internazionale


L’intelligence internazionale conferma che il Ruanda continua a fornire supporto militare, logistico e di intelligence all’M23/AFC.


E allora la domanda finale è una sola, semplice, diretta:Questa volta, qualcuno avrà il coraggio di sanzionare il Ruanda?Congelamento dei beni, embargo, restrizioni finanziarie, revoca di fondi internazionali.O lasceremo ancora una volta la vittima senza giustizia e l’aggressore con il coltan in tasca?



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